Biodiversità e conservazione Fauna Flora Mari e oceani

Living Planet Report 2018: dal 1970 calo di vertebrati del 60%

Living Planet Report WWF 2018

Il Living Planet Report del WWF, che monitora ogni due anni lo stato della fauna selvatica, sottolinea che in meno di 50 anni c’è stato un crollo delle popolazioni globali di pesci, uccelli, mammiferi, pesci, uccelli e rettili di più della metà, lanciando un Global Deal per la natura e le persone in grado di invertire la drammatica perdita di ricchezza della vita, base del nostro benessere e sviluppo.

Il biennale Rapporto Living Planet 2018 del WWF, che fa il punto sullo stato di salute della popolazione di animali di tutto il mondo, sottolinea l’urgenza di lanciare un Global Deal per la natura e le persone capace di risolvere le questioni cruciali del nostro futuro, come garantire l’alimentazione a una popolazione crescente, limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e restaurare la natura.

Tutte le ricerche scientifiche dimostrano l’incalcolabile importanza dei sistemi naturali per la nostra salute, il nostro benessere, la nostra alimentazione e la nostra sicurezza, oltre al valore economico stimato attorno a 125.000 miliardi di dollari dei servizi che ci offrono.

Tuttavia, la natura e la biodiversità stanno progressivamente scomparendo ad una velocità allarmante a causa della nostra domanda crescente di energia, acqua e suolo. È  la prima volta nella storia della Terra che una singola specie, l’Homo sapiens, esercita un impatto così forte sul pianeta.

Il Rapporto del WWF utilizza il Living Planet Index, fornito dalla Società Zoologica di Londra (ZSL), per monitorare le tendenze delle popolazioni di fauna selvatica. Per due decenni il Rapporto ha registrato l’abbondanza di 16.704 popolazioni di oltre 4.000 specie di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi (gli animali vertebrati) in tutto il mondo. Per l’edizione 2018, la ventesima del Living Planet Report, l’indice include i dati dal 1970 al 2014 e mostra un declino globale del 60% nella dimensione delle popolazioni di vertebrati che, in pratica, significa un crollo di più della metà in meno di 50 anni.

Il nostro pianeta è a un bivio e noi abbiamo l’opportunità di decidere la strada da percorrere – ha scritto Marco Lambertini, Direttore generale di WWF International, nell’introduzione al Rapporto – Da un certo punto di vista, abbiamo saputo per molti, troppi anni che siamo noi a guidare il Pianeta sull’orlo del precipizio fino all’orlo. Questa non è una cupa e tenebrosa storia, ma la realtà. Il sorprendente declino nella popolazione selvatica è un triste promemoria e forse l’ultimo indicatore della pressione che esercitiamo sul Pianeta“.

Le minacce che stanno minando le oltre 8.500 specie a rischio di estinzione, presenti nella Lista Rossa (Red List) della IUCN, riguardano soprattutto il sovrasfruttamento e le modifiche degli ambienti naturali, in particolare quelle dovute all’agricoltura, ai quali deve essere attribuito il 75% delle estinzioni avvenute dal 1500 ad oggi.

Altre minacce derivano dai cambiamenti climatici che stanno diventando un driver crescente, dall’inquinamento, dalle specie invasive che state spostate in tante aree del Pianeta dove prima non esistevano e che fanno concorrenza a tante specie autoctone, dalle dighe e dalle miniere.

Negli ultimi 50 anni la nostra impronta ecologica, la misura del consumo delle risorse naturali, è aumentata del 190%. Creare un sistema più sostenibile richiede significativi e urgenti cambiamenti nelle attività di produzione e consumo.

Nel marzo 2018 l’Intergovernamental Science/Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) ha diffuso il primo Rapporto sul degrado del suolo e ripristino del territorio (Land Degradation and Restoration Assessment) che dimostra come oggi meno del 25% della superficie terrestre sia ancora in condizioni naturali e come nel 2050, continuando con gli attuali andamenti di sfruttamento senza invertire l’attuale tendenza, la percentuale della superficie delle terre emerse  in condizioni naturali si abbasserà al 10%.

Oggi, il degrado dei suoli mina il benessere di circa 3,2 miliardi di persone nel mondo. Inoltre, nell’era moderna, le zone umide hanno perso l’87% della loro estensione. Il degrado dei terreni include anche la perdita delle foreste, un fenomeno che nelle zone temperate è stato rallentato dalle operazioni di riforestazione, ma che è andato accelerandosi nelle foreste tropicali.

Un recente Studio pubblicato su Science, ha individuato nell’agricoltura commerciale e di sussistenza il principale driver della deforestazione a livello globale. Tale degrado esercita numerosi impatti sulle specie, sulla qualità degli habitat e sul funzionamento degli ecosistemi.

La biodiversità costituisce l’infrastruttura che sostiene tutta la vita sulla Terra. I sistemi naturali e i cicli biogeochimici che la diversità biologica genera consentono un funzionamento stabile dell’atmosfera, degli oceani, delle foreste, dei vari territori e dei bacini idrici. Essi costituiscono i prerequisiti per l’esistenza di una moderna e prospera società umana, capace di continuare a vivere bene nel corso del tempo. Da ora al 2020 abbiamo un’unica finestra di opportunità per formulare una visione di positivo rapporto tra l’umanità e la natura.

La Convenzione della Diversità Biologica (CBD) sta definendo l’Agenda post-2020 capace di:
individuare obiettivi chiari per raggiungere la difesa della biodiversità;
sviluppare un set di indicatori rilevanti capaci di registrare i progressi  della riduzione della perdita di biodiversità;
accordarsi su una serie di azioni concrete che raggiungano collettivamente gli obiettivi nei tempi dati.

In appena 50 anni il 20% della superficie delle foreste dell’Amazzonia è scomparsa mentre gli ambienti marini del mondo hanno perso quasi la metà dei coralli negli ultimi 30 anni – ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia – Il Living Planet Report 2018 richiama ad un impegno deciso per invertire la tendenza negativa della perdita della biodiversità. Il mondo ha bisogno di una Roadmap dal 2020 al 2050 con obiettivi chiari e ben definiti, di un set di azioni credibili per ripristinare i sistemi naturali e ristabilire un livello capace di dare benessere e prosperità all’umanità. Per ottenere risultati è necessario intervenire subito già dalla 14ma Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità che avrà luogo in Egitto nel prossimo novembre. È fondamentale un accordo globale, ambizioso ed efficace per la natura e la biodiversità, come è avvenuto per il cambiamento climatico in occasione della Conferenza di Parigi nel 2015”.

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