Secondo l’annuale Rapporto di Climate Transparancy che valuta le credenziali “verdi” di ogni singolo Paese del G20, si spende per alimentare i cambiamenti climatici più di quanto si investe per ridurli.
Come è consuetudine da qualche anno, in occasione dell’annuale Summit del G20 (Buenos Aires, 30 novembre – 1° dicembre 2018), Climate Transparancy (ONG globale con la missione condivisa di stimolare un’ambiziosa azione per il clima attraverso una maggiore trasparenza) pubblica il Rapporto “Brown to Green. The G20 transition to a low-carbon economy”, realizzato da un gruppo di 14 prestigiosi Istituti di ricerca, tra cui Germanwatch, New Climate Institute, Climate Analytics, Overseas Development Institute (ODI).
Il Rapporto valuta le credenziali “verdi” di ogni singolo Paese, attraverso l’analisi di 80 indicatori di azione climatica, tra cui l’attrattività degli investimenti, gli investimenti nelle energie rinnovabili, la politica climatica, l’intensità di carbonio nei settori dell’energia elettrica e nell’economia, i sussidi ai combustibili fossili e il contributo al finanziamento per l’azione climatica.
Gli effetti dei cambiamenti climatici a cui si sta assistendo, ricorda Climate Transparancy, sono la conseguenza di un aumento delle emissioni globali di gas ad effetto serra, salite tra il 1990 e il 2014 del 56%, per le quali i Paesi del G20 sono responsabili per il 75%. Dopo un periodo di stasi (2015-2016), nei Paesi del G20 le emissioni correlate alla produzione energetica – la quota maggiore di emissioni di gas serra – nel 2017 hanno ripreso a crescere.
L’intensità di carbonio nel settore energetico del Paesi del G20 è leggermente diminuita nel 2016 e si è arrestata nel 2017 per effetto di una quota leggermente più elevata di energie rinnovabili e/o di altre tecnologie a zero emissioni di carbonio nel mix energetico.
In media, l’82% della fornitura di energia proviene ancora dai combustibili fossili – la quota è addirittura aumentata in Canada, India e Indonesia tra il 2012 e il 2017, mentre il Regno Unito è riuscito a ridurre significativamente la sua quota di combustibili fossili nel mix energetico, seguito da Cina e Francia.
Dopo la COP21 di Parigi, diversi Paesi del G20 hanno fatto importanti annunci di politica climatica, ad esempio l’Argentina che ha lanciato un programma di investimento di 5,7 miliardi di dollari per spingere le energie rinnovabili o l’India che ha adottato un Piano per ridurre la domanda di raffrescamento dal 20% al 25% entro il 2037. Tuttavia ci sono anche azioni “grigie” che puntano nella direzione opposta, come ad esempio la cancellazione delle politiche climatiche nel Regno Unito (incentivi e misure di efficienza energetica negli edifici) e i nuovi sussidi decisi nel 2018 dal Brasile per il consumo di carburante.
Attualmente, nessuno degli impegni (NDC) assunti dai Paesi del G20 per il 2030 è in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi per mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei +2 °C e di fare ogni sforzo per limitarlo a +1,5 °C, per conseguire il quale obiettivo le loro emissioni dovrebbero essere ridotte della metà entro il 2030.
Tra gli impegni nazionali assunti, il Rapporto evidenzia che quello dell’India è il più vicino all’obiettivo, mentre l’impegno di Russia, Arabia Saudita e Turchia comporterebbe un riscaldamento superiore ai 4 °C, se tutti i Governi avessero livelli simili di ambizione per i loro obiettivi. Le proiezioni indicano che numerosi Paesi del G20 mancherebbero i propri obiettivi NDC se non adottassero politiche aggiuntive. Inoltre, nessun Paese ha una Strategia a lungo termine per portare le emissioni net zero entro il 2050. Solo l’Unione europea nel suo insieme ha adottato il 28 novembre, alla vigilia della COP24 di Katowice (2-14 dicembre 2018) una bozza di Strategia dal titolo “Clean Planet for All” (Link: ???) per decarbonizzare la sua economia entro il 2050 ed essere in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Nell’insieme i Paesi del G20 elargiscono tuttora 147 miliardi di dollari in sussidi per i combustibili fossili, sebbene abbiano promesso fin dal 2009 di eliminarli gradualmente, spendendo più di quanto non ne ricevano in termini di entrate per il prezzo imposto sul carbonio. Solo il Canada e la Francia hanno maggiori entrate rispetto ai sussidi offerti. I paesi del G20 che forniscono le maggiori quantità di sussidi per i combustibili fossili per unità di PIL sono Arabia Saudita, Italia, Australia e Brasile. Diversi Paesi del G20, sia ad economia sviluppata che ad economia emergente, hanno introdotto politiche di finanza verde, tra cui Francia, UE e Giappone sono leader nell’attuazione di politiche di informative finanziarie relative al clima.
I Paesi del G20 devono fare maggiori sforzi nei settori dell’energia e dei trasporti, in cui mancano azioni concrete.
Energia: Sudafrica, Australia e Indonesia hanno la più alta intensità di emissioni nel settore energetico e mancano azioni concrete per eliminare gradualmente il carbone, che sono state intraprese da Canada, Francia, Italia e Regno Unito.
Trasporti: Francia, Giappone e Regno Unito guidano il G20 con piani di eliminazione graduale delle auto a combustibili fossili. Stati Uniti, Canada e Australia, pur avendo le emissioni di trasporto pro capite più elevate mancano adeguati standard di efficienza del carburante.
Industria: solo l’UE riceve un alto grado di valutazione politica grazie al suo obiettivo l’installazione di nuovi impianti low carbon nei settori ad alta intensità di emissione. Sudafrica, Cina e Russia rimangono in coda.
Edifici: Canada, Germania e Stati Uniti sono i Paesi con le emissioni pro-capite più elevate degli edifici (senza contare le emissioni da calore ed elettricità degli edifici commerciali). La politica dell’UE, compatibile con il limite di +l’1,5 C, per edifici a energia quasi zero al 2020-2025 potrebbe essere un modello per altri Paesi del G20.
Silvicoltura: Indonesia, Argentina e Brasile hanno subito le maggiori perdite di superficie forestale dal 1990 e non mostrano segni di inversione del fenomeno.. Una strategia per deforestazione nulla entro il 2020 sarebbe compatibile con l’obiettivo +1,5 °C.
La scheda completa dedicata all’Italia.
“Con l’aumento della temperatura globale, aumentano anche i rischi per le economie derivanti dagli sconvolgimenti climatici e le necessità di finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione – ha affermato Charlene Watson, di ODI e co-autrice del Rapporto – È nell’interesse economico del G20 spostarsi dall’energia grigia a quella verde, eppure stiamo ancora assistendo a importanti investimenti nell’industria dei combustibili fossili, insieme a enormi sussidi”.