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Ghiacciai in scioglimento: avvertimenti sui rischi di innalzamento del mare

Fusione dei ghiacciai

Due Studi pubblicati contemporaneamente sullo scioglimento dei ghiacciai più accelerato negli ultimi anni lanciano avvertimenti sui rischi connessi all’innalzamento del livello del mare, che dovranno essere affrontati dalle future generazioni.

Il Rapporto speciale (ARs) dell’IPCC, richiesto dalla COP21 di Parigi (2015) per rappresentare gli scenari correlati all’aumento della temperatura globale alla fine del secolo secondo l’obiettivo dell’Accordo, prevede un innalzamento del livello dei mari al fine del secolo di 0,26 e 0,77 metri rispettivamente con + 1,5 °C e +2 °C e una probabilità di una in un secolo che il Mar Glaciale Artico rimanga privo di ghiacci in estate nel primo caso, mentre sarebbe di una al decennio nel secondo.

Purtroppo, tale scenario che desta comunque preoccupazioni non è quello che ci si prospetta al 2100 se si continua a non adottare quanto prima le misure necessarie per rimanere entro i limiti dell’Accordo di Parigi, visto che tutti gli studi più recenti concordano nel ritenere che con questo passo arriveremo ad almeno +3 °C, e a quel punto l’innalzamento dei mari sarebbe di alcuni metri, con le conseguenze che sono facilmente immaginabili.

Due recenti Studi pubblicati lo stesso giorno (21 dicembre 2018) che hanno preso in esame lo scioglimento delle calotte glaciali antartiche ed artiche, da cui dipende per lo più l’innalzamento del livello dei mare, inviano ulteriori avvertimenti sui rischi che dovranno affrontare le future generazioni per i nostri attuali comportamenti.

Quello su Science dal titolo “Antarctic ice melt 125.000 years ago offers warning”, firmato dal giornalista scientifico Paul Voosen, riporta i risultati di una ricerca presentata all’ultimo meeting dell’American Geophysical Union (Washington – DC, 10-14 dicembre 2018) e condotta da un team coordinato dall’Università dell’Oregon, che ha analizzato diversi nuclei di sedimenti marini prelevati nel mar di Bellinghausen  a ovest dell’penisola Antartica Occidentale (WAP) risalenti a 125.000 anni fa, durante l’ultimo periodo interglaciale Eemiano, prima dell’attuale Olocene, quando la temperatura sulla Terra era di circa 1-2 °C più calda dell’attuale.

Il fatto che i sedimenti delle aree marine prospicienti la WAP, non avessero il limo che si origina dall’erosione sulla crosta terrestre dei ghiacciai, è stato spiegato dai ricercatori con l’assenza in quel periodo della calotta glaciale occidentale che era con ogni probabilità crollata e non aveva potuto svolgere la sua tipica azione.

Secondo i ricercatori l’aumento di temperatura allora non sarebbe stato determinato ovviamente dalle attività antropiche, bensì da un leggero cambiamento nell’orbita e nell’asse di rotazione della Terra, con conseguente innalzamento della temperatura nell’emisfero settentrionale, che avrebbe però causato cambiamenti climatici nell’intero Pianeta, in particolare nella WAP avrebbe determinato il collasso della banchisa, con conseguente innalzamento del livello del mare compreso tra 6-10 metri e l’invasione dell’acqua nelle aree continentali.

Quel processo verificatosi nelle ere geologiche passate, potrebbe ripetersi o essere già in corso, avvertono i ricercatori. L’attuale riscaldamento globale ha già provocato la fusione di oltre 3.000 miliardi di tonnellate di ghiaccio antartico nell’ultimo quarto di secolo, che si è triplicata nell’ultimo decennio, secondo uno studio pubblicato a giugno su Nature, per un equivalente d quasi 8.000.000 di miliardi di litri d’acqua che si sono aggiunti agli oceani del mondo, rendendo il ghiaccio sciolto  dell’Antartide uno dei maggiori contributori all’innalzamento del livello dei mare  Complessivamente, gli scienziati dicono che il ghiaccio che si scioglie in Antartide è responsabile di circa un terzo di tutto l’innalzamento del livello del mari di tutto il mondo.

L’altro studio comparso su Environmental Research Letters con il titolo “Global sea-level contribution from Arctic land ice: 1971-2017” e condotto da ricercatori del Geological  Survey of Denmark and Greenland (GEUS), in collaborazione con colleghi di Norvegia, Canada, Stati Uniti e Paesi Bassi, ha preso in esame lo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico, compresa la calotta della Groenlandia, ha confermato come il tasso di perdita del ghiaccio artico terrestre è triplicato dal 1986, passando da quasi 5.000 tonnellate di acqua al secondo nel periodo 1986-2005 a 14.000 tonnellate del 2005- 2015.

Se dividessimo la recente perdita dal ghiaccio terrestre artico tra i quasi 8 miliardi di persone nel mondo –  ha sintetizzato Jason Erik Box, Professore di Ricerca in Glaciologia e Clima al GEUS e principale autore dello studio – ogni persona otterrebbe 160 litri di acqua, ogni giorno dell’anno”.

Il contributo totale dell’Artico all’innalzamento del livello del mare sta accelerando, secondo lo Studio, ha permesso di innalzare di 12,36 millimetri il livello del mari del mondo nell’ultimo decennio (2005-2015), circa il 50% in più rispetto agli 8,3 millimetri totali aggiunti nei due decenni precedenti. La Groenlandia è la principale fonte artica di tale aumento con un contributo tra il 1971 e il 2017 del 46%. Al secondo posto l’Alaska che vi ha contribuito per un quarto.
Il nostro approccio utilizza misurazioni sul campo del bilancio dell’accumulo di neve e della fusione superficiale – ha proseguito Box – E nel nostro caso fornisce una sequenza di misurazioni annuali da 17 località che coprono tutte le regioni dell’Artico ghiacciate. Realizziamo un semplice e robusto ridimensionamento matematico dei dati osservati sul campo sui dati relativi alla gravità offerti dal satellite della missione GRACE“.

Lo Studio segnala, inoltre, che si sono verificate ampie differenze tra le regioni e nel tempo. La perdita di ghiaccio dell’Alaska, pressoché costante dal 1988, è principalmente dovuta all’aumento della fusione superficiale, che si è poi ridotta dal 2013 a seguito di  un bilancio positivo “attribuito alla diminuzione della fusione superficiale dovuta alle anomalie della temperatura dell’aria fredda prodotte dalla circolazione atmosferica”. La perdita di ghiaccio nell’Artico canadese, grande all’incirca quanto quello dall’Alaska, è aumentata notevolmente per effetto dell’incremento superficiale durante le caldi estati negli anni ’90 fino al 2013 e 2017, anni in cui c’è stato un bilancio di massa positivo e il conseguente calo del contributo cumulativo al livello del mare.
Nelle altre regioni: la Russia artica, le Svalbard, l’Islanda e la Scandinavia, i contributi al livello del mare sono aumentati quasi quanto quelli dell’Artico canadese.

Anche la tipologia dei ghiacciai ha contribuito alle differenze dei tassi di fusione.
L’accelerazione della Groenlandia probabilmente è dovuta alla componente dei ghiacciai terminali che sono responsabili della metà della perdita di ghiaccio – ha osservato Box – mentre una regione come l’Alaska dà un contributo minore all’innalzamento del livello del mare, perché minore è l’apporto dei ghiacciai terminali”.

Nell’uno e nell’altro caso gli scienziati concordano nel ritenere che tale accelerata riduzione dei ghiacci e ghiacciai debba attribuirsi al riscaldamento antropogenico e inviano un avvertimento sulla rapidità in termini climatologici dei cambiamenti una volta innescata l’instabilità.

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